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Risultato delle europee. Le correnti PD chiedono a Marino la resa… dei conti

Cosentino, segretario romano: “La città si aspetta il cambiamento”

Succede quasi sempre così. All’indomani di un’elezione politica generale, in questo caso la recente consultazione europea, i protagonisti della politica cittadina cercano di sfruttarla pro domo loro.
Naturalmente sorvolano allegramente sul fatto che il 49% degli aventi diritto non è andato a votare e non certo per trascuratezza. Dovrebbero domandarsi il perché di questa disaffezione, ma non se ne danno per intesi.
Calano invece come falchi sul risultato per appropriarsene con dichiarazioni anche un po’ ridicole.

Ignazio Marino
Ignazio Marino

Il Sindaco Marino volendo anticipare da subito “le oscure forze della reazione in agguato”, cioè i suoi detrattori colleghi di partito, si è affrettato a ringraziare i romani “perché con il loro voto hanno capito la volontà di cambiamento della Capitale messa in atto negli ultimi 11 mesi”. Come se il 50% dei romani volontari delle urne avessero dato il loro voto pensando alla performance della giunta capitolina. Per fortuna del PD renziano non è stato così.

David Sassoli
David Sassoli

C’è poi chi, come David Sassoli, utilizza il dato elettorale romano del PD, uno stratosferico 43,7%, e quello suo in termini di preferenze, per dare, invece, il benservito alla giunta Marino reclamandone l’azzeramento.

Enrico Gasbarra
Enrico Gasbarra

A lui si unisce tosto l’altro peso massimo delle preferenze ex segretario regionale del PD Enrico Gasbarra che intima: “Il primo cittadino e la Giunta devono occuparsi dell’azione di governo”. Come dire: finora avete cercato di acchiappare farfalle sotto l’Arco di Tito.

Umberto Marroni
Umberto Marroni

C’è poi chi utilizza il risultato per piccole vendette interne di corrente come l’onorevole Umberto Marroni che approfittando del relativo insuccesso di Goffredo Bettini arrivato quarto fra gli eletti dopo Bonafè, Gasbarra e Sassoli, e quinto nelle preferenze romane sopravanzato anche dall’intramontabile Silvia Costa, trasforma l’elezione dell’europarlamentare in una sorta di esilio politico a Strasburgo.

Goffredo Bettini
Goffredo Bettini

Decretando, tra l’altro, la morte di quel “modello Roma” di bettiniana invenzione già deceduto da tempo.

Massimiliano Smeriglio
Massimiliano Smeriglio

A questa sfilata di dichiaranti non sfugge neanche qualche illustre esponente di Sel come Massimiliano Smeriglio vicepresidente della Regione Lazio che vede, pro domo sua, nel positivo risultato romano della lista Tsipras, 6,17%, l’approvazione per “il radicamento territoriale” e la “radicalità dei contenuti” della sua formazione politica “che punta a cambiare le città e la Regione”. Insomma una sorta di benedizione elettorale per l’alleanza del suo partito nelle giunte regionale e comunale con Zingaretti e Marino. Come a dire: hic manebimus optime (traduzione libera: “Da qui nun ce schioda nessuno”).

Daniela Morgante
Daniela Morgante

Sopraffatte da tanta approvazione di popolo, per tornare alla dichiarazione di Marino, l’assessore Daniela Morgante al Bilancio prima e ora l’assessore Flavia Barca alla cultura hanno rassegnato le dimissioni aprendo praticamente la prima crisi della giunta a un anno dalle elezioni amministrative e la strada al rimpasto reclamato dalla totalità del PD romano.

Flavia Barca
Flavia Barca

Come si giocherà questa partita e, soprattutto, come la giocherà il Sindaco Marino tra assalti alla diligenza di correnti e sottocorrenti è difficile saperlo e anche capirlo. Sono dinamiche e scontri di potere interni al PD alquanto oscuri.

Giovanni Caudo
Giovanni Caudo

Solo i desiderata speculativi dei costruttori sono leggibili tutti i giorni sui loro house organ cartacei, “Il Messaggero” e “Il Tempo” in particolare, che non hanno aspettato le elezioni per chiedere da tempo la riduzione del Sindaco a più miti consigli, un rimescolamenteo delle carte assessorili e, in particolare, la testa dell’assessore all’urbanistica Giovanni Caudo.

Quello che invece è più intellegibile è lo spirito pubblico dei romani che circonda l’amministrazione capitolina. Per i cittadini questo primo anno della giunta Marino è stato deludente. Nessuno ovviamente s’aspettava la soluzione definitiva di problemi annosi e incancreniti, dal traffico alla raccolta dei rifiuti, dalla manutenzione delle strade a quella del verde e dei Parchi, dallo stop alla speculazione edilizia alla “rigenerazione urbana” nelle periferie, dal riassetto delle aziende municipalizzate a cui ha dato il colpo di grazia la parentopoli alemanniana, a un riordino della macchina capitolina col disboscamento delle innumerevoli società partecipate, ecc. ecc..
L’opinione pubblica più avvertita sapeva inoltre che il fardello ereditato da Alemanno (e Veltroni), soprattutto quello del debito, era pesante.
Così come pesante è il cosiddetto patto di stabilità interno figlio dell’austerity europea merkeliana che impedisce ai Comuni di poter investire in opere pubbliche anche quel poco di risorse che hanno a disposizione.
Per non parlare poi dei trasferimenti statali insufficienti che non si fanno carico dei costi sopportati da Roma in quanto capitale dello Stato e a cui vanno aggiunti i tagli operati dai governi sui capitoli più importanti di spesa: trasporti, scuola, cultura, politiche sociali.
Il recente decreto governativo “salvaroma” che il parlamento ha fatto sudare a Marino pur salvando momentaneamente la città dal “default” non esime per il futuro prossimo da politiche di rigore e non allarga i cordoni della borsa. Tutt’altro.

Tuttavia i romani avrebbero gradito un’iniziativa nei settori sopra accennati più ardita, meno incerta e oscillante. Non che non si sia fatto nulla per carità, ma quel che si è fatto in tanti campi non è stato percepito come una svolta dirompente. Avrebbero visto di buon occhio, per esempio, almeno l’avvio di qualche opera tramviaria fra quelle promesse in campagna elettorale, un sollecito rammendo delle buche stradali e la rapida riapertura delle vie disastrate che ancor oggi isolano Roma nord, conseguenti all’alluvione del gennaio scorso. Così come una più incisiva raccolta differenziata dei rifiuti e non solo la chiusura ormai indifferibile di “Malagrotta”.
Inoltre si aspettavano un intervento più rapido e deciso per rimettere in sesto Ama e Atac affidandosi per la bisogna non solo ai curricula degli aspiranti manager che hanno provocato imbarazzanti gaffe come quella di Ivan Strozzi all’Ama o quella di Liporace a comandante dei Vigili urbani. Anche le fibrillazioni in cui è stato gettato il personale capitolino riguardo alla decurtazione del proprio stipendio con la riduzione delle competenze accessorie non hanno aiutato.

L’unico progetto di rilievo preso di corsa e di petto è stato quello dei Fori con la parziale chiusura al traffico di una parte dello stradone mussoliniano e con la manifesta intenzione di portarne a termine la pedonalizzazione con la creazione del più grande Parco archeologico del mondo. Indubbiamente una grande e positiva realizzazione che farebbe passare alla storia Marino ma che non risarcisce le speranze e le attese delle periferie e delle altri parti della città.

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Il fatto è che, in generale, le ridotte capacità realizzatrici del Sindaco hanno un’origine tutta politica. Marino fin dall’inizio, a cominciare dalla formazione della giunta, ha cercato di tenere lontano dall’amministrazione le “mani sulla città” delle correnti piddine e di cercare persone competenti al di fuori dei “cerchi magici” del politicantismo romano, ma nel fare questo non ha saputo, in pari tempo, conquistarsi il favore popolare con un’iniziativa politica e amministrativa incisiva e galoppante che aumentasse il consenso per sé e la sua amministrazione mettendo alle corde la immarcescibile casta politica dei democrats romani. Ora questa stessa casta resa più famelica dal digiuno subito prova a farsi forte di un successo politico non suo e lo usa per fare i conti con il “marziano” che ha dovuto subire.

renzi pdMarino, come s’è detto, si è affrettato a stiracchiare, e di molto, il successo romano del PD al voto europeo come un successo della sua amministrazione. Ma la realtà è diversa. Un anno fa lui vinse le elezioni senza il PD, annichilito dalla sconfitta alle elezioni politiche e sprofondato nello psicodramma dell’elezione del Presidente della Repubblica. Oggi è il contrario. E’ il PD, anzi Renzi che ha vinto senza di lui. E non è da escludere che una malintesa vertigine del successo unita alla crisi profonda dello sgarrupato schieramento di centrodestra possa indurre l’establishement piddino della capitale, vecchio e nuovo, a rompere gli indugi e a liberarsi di un Sindaco che non ha mai amato, in ciò ampiamente ricambiato.

Lionello Cosentino
Lionello Cosentino

Marino, a quanto si sa, sta cercando, per resistere, la sponda renziana nazionale. Ha avuto un incontro col vicesegretario Lorenzo Guerini e una disponibilità sugli aiuti economici da parte dei sottosegretari Del Rio e Legnini. Ma sembra che l’orientamento di Renzi sia quello di non impicciarsi più di tanto e di lasciare Marino nelle fauci del “partito romano”. Che il segretario romano Lionello Cosentino ha subito spalancato: “La città si aspetta il cambiamento” ha ruggito. “#Ignazio stai sereno”


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