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Non aspettare Godot

Il Movimento democratico e progressista Art. 1 (Mdp), cui hanno dato vita i fuoriusciti dal PD e quelli da Sel non entrati in Sinistra italiana, ha fatto un convegno di tre giorni l’altra settimana a Milano esponendo le sue idee, le sue proposte e i suoi propositi per il futuro della disastrata sinistra italiana. Sul loro sito è possibile reperire i materiali delle sue discussioni e delle sue iniziative.

Gli esponenti più in vista del Movimento e anche quelli più anziani che portano sulle loro spalle le maggiori responsabilità di come è stata ridotta la sinistra in Italia, dicono di voler intraprendere un cammino nuovo. Molte parole e analisi nuove si sentono avanzare, in verità tra poche autocritiche, ma comunque indicatrici di una direzione diversa dalle subalternità avute negli ultimi 25 anni di fronte al neoliberismo globalizzatore.

Massimo D’Alema, in questo nuovo percorso anche personale, sembra essere diventato un altro. Sforna analisi, parole e indicazioni di sinistra inversamente proporzionali alla micragnosità dimostrata sul tema nei lustri precedenti. Avrebbe fatto la gioia di Nanni Moretti se le avesse fatte e dette vent’anni fa. E’ stato, rispetto a Bersani e ai bersaniani, quello più deciso, anche perché più libero da incarichi parlamentari, nel contrastare la madre di tutte le battaglie anti renziane: il referendum costituzionale. Gli altri l’hanno alla fine seguito ma sempre mostrando qualche titubante speranza di mediazione all’ultimo minuto.

Bersani ancora oggi dice di voler ricostituire una “cosa” di centrosinistra in grado di contendere al PD quel tipo di consenso elettorale. Il che è comprensibile sul piano tattico elettorale, ma rischia di far deviare dal corposo problema del presente che balza agli occhi di tutti, anche guardandolo soltanto, e non si dovrebbe, dal versante degli schieramenti politici in atto.

Qual è, dunque, il problema oggi in Italia? Mancano forse forze di moderate e di centro? Non pare. Di forze centriste c’è un affollamento copioso e variegato con tutte le sfumature e le gradazioni possibili. Nel campo dell’establishment c’è una metà campo occupata da PD, FI, Ap, Ala e un diffuso pulviscolo trasformista stazionante in quella cerchia; mentre nell’altra metà lo spazio anti establishment è occupato in toto dal M5s, il partito centrista elettoralmente e culturalmente più trasversale in questo momento. L’area di destra è saldamente presidiata dal duo Salvini-Meloni e affini. Quello che manca è un polo di sinistra. C’è un’area politica spezzettata e, soprattutto, ancora scollegata dal vasto associazionismo progressista presente nella società civile che contesta ogni giorno, ma per segmenti, le politiche dell’establishment governativo. E’ quest’area politica e della società civile che occorre riorganizzare, unire e portare a sintesi in termini nuovi. E bisogna farlo in fretta perché il tempo in politica non aspetta. Di tempo se n’è già perso troppo al di là del dovuto. Poi, per crescere, si dovrà lottare e fare politica nei confronti di tutti.

L’importante è che la costruzione unitaria parta dai problemi della società e degli uomini concreti in carne e ossa che la abitano. Della partita dovrebbe essere anche Pisapia, che, però, ha chiesto tempo per verificare la disponibilità di Renzi e del PD a ricostituire l’antico centrosinistra ulivista. Giuliano si prende tempo, fino all’11 giugno, ha detto, dopo le elezioni amministrative. Vuole verificare di persona, come un San Tommaso all’incontrario, che Renzi non è Prodi e che il PD non è più quello, già malconcio per la verità, di Veltroni e di Bersani. Più che sui contenuti di una politica progressista Pisapia sembra, in questo momento, dedito a interessarsi di schieramenti a prescindere; e di persone che possano soddisfare questo bisogno. E’ molto concentrato sulla legge elettorale, pronto ad accontentarsi di ossi che, dovendo succhiare qualcosa come dice Prodi, sono sempre meglio dei bastoni. Infatti li hanno succhiati con il sì al referendum del 4 dicembre, ma la disponibilità non è servita granché e non è stata apprezzata dal “collezionista di ossa”. Sulla strada lastricata degli “ossi di seppia” del meno peggio, già ampiamente battuta in passato con i risultati deprimenti che si sono visti, Pisapia si è già acconciato a proporre il candidato-seppia alle prossime elezioni regionali in Lombardia: Giorgio Gori, sindaco di Bergamo. Pensa che possa costituire il minimo comun federatore del centrosinistra lombardo a trazione renziana. Il Gori, che ha espugnato la roccaforte leghista alle ultime elezioni comunali, è presentato da Pisapia come candidato competitivo con il centrodestra. Infatti, ha ingaggiato una strenua battaglia con la Lega di Maroni sul referendum del prossimo 22 ottobre sull’autonomia rafforzata voluto dai leghisti al grido: vogliamo tenerci qua le nostre tasse! Voterà sì, ma disapprova i modi. L’obiettivo – dice il Gori – lo si può raggiungere per via costituzionale. L’altra ipotesi pisapiana sarebbe Maurizio Martina, purtroppo – per noi tutti – occupato al governo. Dice Giuliano che se non si va uniti c’è il rischio di regalare la regione al centrodestra – che ce l’ha già da sempre – o al M5s. Ma uniti su che, non è dato sapere. Anche perché, temiamo, se si sapesse, l’unità sarebbe piuttosto problematica.

Una cosa appare certa: se la nuova sinistra nascente non vuole negarsi la possibilità di uscire nemmeno dalla culla, l’eventuale alleanza col PD può passare solo dal mutamento delle politiche economiche e sociali di questo partito, e non solo di quelle. Il che non sembra all’orizzonte. Anche per la debolezza della sinistra medesima, non in grado, per ora, di spostare a sinistra gli equilibri interni al PD. Basta vedere le cose che va ripetendo Renzi: sono sempre le stesse con lo stesso stile furbastro. Sabato, per esempio, ha postato su facebook la sua approvazione entusiasta per ciò che papa Bergoglio ha detto ai lavoratori a Genova. Naturalmente ha citato solo la parte che è stata oggettivamente polemica con il M5s a proposito del reddito di cittadinanza. Su tutto il resto, compreso l’atto d’accusa del Pontefice verso gli imprenditori speculatori – tanto simili ad alcuni amici di Renzi da sembrare un de te fabula narratur – ha sorvolato. Del resto Renzi non ha nessuna voglia di rifare il centrosinistra, la sua traiettoria volge verso altri lidi, verso la riedizione di una larga intesa centrista a geometria variabile, presentata ai gonzi come stato di necessità ma pensata come virtuosa in sé per ottenere il consenso del blocco sociale dei garantiti. Una bella convergenza, post pranzo elettorale, fra lui e Berlusconi, con Alfano, se sopravvive, e Verdini, che sopravvive sempre, come paggi al seguito. Le prove d’orchestra sono già ricominciate con la reintroduzione dei voucher. Mentre per la legge elettorale alla tedesca il duo Renzi-Berlusconi è diventato, per l’occasione, un quartetto polifonico con Grillo e Salvini.

Perciò la sinistra, quella rinsavita, quella che già lo era e quella che non ha bisogno di rinsavire perché è fatta dai giovani di oggi, deve accelerare la sua ricostituzione. Non indugiare nella ricerca spasmodica del leader, del “federatore”, del condottiero nume tutelare, ma pensare a programmi, proposte, iniziative, anche su scala europea, per iniziare a ritessere uno schieramento sociale e politico progressista. I leader e i federatori verranno.

Ma non ci si può ridurre ad aspettarli, come Godot.


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