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“Dalle rovine” di Luciano Funetta

Un romanzo pubblicato da un piccolo editore che è entrato meritatamente nella classifica dei primi dodici libri più votati per il Premio Strega

“Chi vuol rettamente procedere a questo fine – disse – conviene che fin da giovane cominci ad accostarsi ai bei corpi e dapprima, se il suo iniziatore lo inizia bene, conviene che si affezioni a quella persona sola e con questa produca nobili ragionamenti; ma in seguito deve comprendere che la bellezza di un qualsiasi corpo è sorella a quella di ogni altro e che, se deve perseguire la bellezza sensibile delle forme, sarebbe insensato credere che quella bellezza non sia una e la stessa in tutti i corpi” (Platone, dal Simposio).

“Le anime pie che cercano di persuadersi che noi siamo estranei a tutto ciò che è cattivo e volgare non mancheranno di dedurre da questa proibizione così antica e formale dell’omicidio conclusioni favorevoli circa la forza delle nostre tendenze morali innate. Disgraziatamente, questo ragionamento può servire a dimostrare, in misura forse anche maggiore, il contrario. Una proibizione così imperiosa e formale può rivolgersi solo ad un impulso particolarmente forte. Non c’è bisogno di proibire ciò che nessuno desidera. Proprio il modo in cui è formulata la proibizione Non uccidere può darci la certezza che noi discendiamo da una serie infinitamente lunga di generazioni di assassini che, come forse anche noi oggi, avevano nel sangue la passione per l’omicidio” (Freud, da Considerazioni sulla guerra e la morte).

“…l’uomo non è soltanto una creatura mansueta, bisognosa d’amore, capace, al massimo, di difendersi se viene attaccata … occorre attribuire al suo corredo pulsionale una buona dose di aggressività. Ne segue che egli vede nel prossimo non soltanto un eventuale aiuto e oggetto sessuale, ma anche un invito a sfogare su di lui la propria aggressività, a sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, ad abusarne sessualmente senza il suo consenso, a sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, ad umiliarlo, a farlo soffrire, a torturarlo e a ucciderlo” (Freud, da Il disagio della civiltà).

Luciano Funetta
Luciano Funetta

Dalle rovine è il primo romanzo partorito, supponiamo non senza dolore e tormento, dalla fervida e spesso allucinata immaginazione di Luciano Funetta (nato nel 1986). Un romanzo che, rifiutato da molte e ben note case editrici italiane, si è infine fortunatamente imbattuto nel coraggio di un piccolo editore amante del rischio e dal nome alquanto esotico: Tunué di Latina, che lo ha pubblicato nell’ottobre del 2015, in una tiratura imprevedibilmente assai limitata; tant’è che, a causa del successo di pubblico da esso riscontrato, il piccolo editore in parola è stato costretto a ristamparlo per ben due volte, nel gennaio e nel maggio del corrente anno. Inoltre, presentato alle selezioni del Premio Strega 2016, esso si è ben piazzato nella classifica dei primi dodici libri più votati.

libroDiciamo subito, onde evitare fraintendimenti, che si tratta di un testo che, sebbene sul piano stilistico-formale si raccomandi per nitidezza e potenza espressive, sul piano dei contenuti potrebbe suscitare fenomeni di rigetto da parte della moltitudine di “anime belle” che, dall’occasionale e infrequente lettura di storie romanzate, null’altro si attendono che di essere gratificate nei loro luoghi comuni e pregiudizi e rassicuranti visioni del mondo. Ecco: Dalle rovine (mai titolo risultò essere più adeguato all’essenza profonda della narrazione) non è affatto rassicurante, né tanto meno gratificante; è invece inquietante, rivoltante, desolante, così come la materia che esso espone e descrive nei suoi 13 capitoli. Si tratta di una progressiva “discesa agli inferi”, nei meandri e bassifondi di una realtà che, sebbene da tutti privatamente e solipsisticamente conosciuta e frequentata, viene dai medesimi tutti quotidianamente taciuta e, a volte e con vergogna, negata: lo “squallido” e pruriginoso mondo della cine e video-pornografia.

header-hans-makart-1050x591Qualcuno potrebbe, da queste brevi note, desumere quindi che Dalle rovine altro non sia che un romanzo neo o iperrealistico. Deduzione avventata ed errata. Possiamo affermare, al contrario, che l’opera prima del giovane scrittore ha molto a che fare con la dimensione onirica: il sogno (o per meglio dire i sogni del protagonista Rivera, ma non soltanto i suoi) rappresenta il tessuto connettivo e la trama che tiene insieme le diverse vicende e i differenti personaggi che popolano il romanzo. Come in tutti i sogni che si rispettano, inoltre, in essi sono da distinguersi (operazione che spetta alla curiosità e alla sensibilità del lettore) i due canonici livelli: quello manifesto e quello latente; ciò permetterà (si spera) di districarsi nella baudelairiana foresta di simboli che l’autore ha sapientemente costruito redigendo il testo. A rafforzare tale sovrastruttura onirica vi sono significativi ed espliciti segnali abbondantemente disseminati nel testo: oltre ai molti inquietanti sogni di Rivera, anche il nome di un altro personaggio, vale a dire Klaus Traum (“Traum”, in tedesco, traduce la nostra parola “sogno”), proprietario della casa di produzione cinematografica (ovviamente di film porno) Traum Sueno: due parole per dire il medesimo concetto, cioè “sogno”; analogamente svolgono la medesima funzione gli imprecisati ed evanescenti “fantasmi” che ricorrono frequentemente nelle pagine del romanzo. A tale proposito una frase “rivelazione” che svela, in una certa misura, il sotterraneo ed inconscio significato del romanzo, è quella pronunciata (in tedesco) a pag. 124 dal medesimo Traum: “Lassen wir die Gespenster in ihren Schloessern” (Lasciamo i fantasmi nei loro castelli), ciascuno a curarsi la propria claustrofobica incapacità di relazionarsi con una realtà in cui è vano cercare una sia pur minima parvenza di ordine.

La parola “castello”, del resto, rinvia al celebre ultimo incompiuto romanzo di Franz Kafka che, a sua volta e non a caso, viene esplicitamente chiamato in causa (a pag. 101, là dove si afferma che lo scrittore praghese abbia voluto, con la sua opera, dimostrare che “la nostra immaginazione è braccata dalla morte”) da colui che, nella narrazione, assume il ruolo di antagonista di Rivera, cioè Alexandre Tapia, sceneggiatore di film caratterizzati dal porno estremo, “con violenze sessuali, sottomissioni, amori violenti e situazioni grottesche ai limiti con il cinema dell’orrore degli anni Settanta e Ottanta” (pag. 55).

La stessa parola evoca, sinonimicamente, il nome di Fortezza, la città in cui si svolge la maggior parte delle azioni oggetto di narrazione, una città che sembra un caotico e anonimo agglomerato di “non luoghi”, una sterminata periferia, una città priva di identità, di storia, di cultura; una città composta da innumerevoli celle (o teche, come teche sono i contenitori di vetro, ben trenta, nei quali Rivera conserva e accudisce altrettanti serpenti velenosi con i quali egli sembra “vivere” simbioticamente e dei quali non riesce a fare a meno) nelle quali ciascuno dei suoi abitanti si è volontariamente recluso nella speranza di sfuggire al mondo esterno.

E’ un mondo di fantasmi, quello descritto nel suo romanzo da Luciano Funetta, di fantasmi nel duplice significato del termine, ovverossia 1) immagine, o virtuale ma deformata copia del reale, così come sono immagini i sogni e le sequenze cinematografiche, e 2) ciò che resta di persone che non esistono più, perché non più in vita. Stiamo parlando della morte, cioè di Thanatos, compagna inseparabile ma anche aspra nemica di Eros; la morte, la vera protagonista di Dalle rovine (dove, se non tra le rovine che essa stessa produce, può prendere domicilio la morte?); la morte che non perde mai di vista il protagonista Rivera, spiandone ogni gesto e ogni azione; la morte alla quale soggiacciono gli anziani produttori Jack Birmania e il già citato Klaus Traum; la morte, che pare intrattenere un rapporto del tutto particolare con Alexandre Tapia, la cui missione sembra essere, e tale si rivela nelle ultime pagine del romanzo, quella di svuotare il cinema pornografico di qualsiasi residuo e malinteso rapporto con Eros e di porlo sotto il soffocante e fatale dominio di Thanatos.

Stupenda perciò, pur nella sua terribilità e nell’orrore insopprimibile che essa suscita, la chiusa del romanzo, costituita da un susseguirsi tumultuoso di immagini che suggellano, simbolicamente, il quasi cosmico duello tra Rivera (emblema di un’umanità che disperatamente si ostina a non tagliare del tutto i ponti con se stessa), e Tapia, genio del male, implacabile nemico dell’uomo: “Lo avrebbe seguito in quello che restava della notte, fino ad una stazione, a un aeroporto o a un fiume. Avrebbero camminato, avrebbero attraversato la periferia senza dirsi nulla. Avrebbero camminato fino a che Fortezza non fosse scomparsa alle loro spalle. Lo avrebbe seguito fino al folto del bosco, dove le urla vengono soffocate dagli alberi, dove la terra è gelata e dura, dove le belve si nascondono e tremano e annusano il freddo. Davanti a un fuoco di sterpi e foglie bagnate, lo avrebbe obbligato a raccontargli tutto, e Tapia lo avrebbe guardato con i suoi occhi gialli da volatile e gli avrebbe chiesto se era in grado di mantenere un segreto. Allora Rivera, cullato dalle parole del fantasma, avrebbe iniziato a strisciare nel fango dondolandosi sul ventre, come l’uomo senza braccia né gambe, l’uomo serpente che scende dal monte Parnaso. E l’orda delle comete avrebbe ancora una volta solcato il cielo, cancellando l’umanità”.


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