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Dall’Amaca è meglio scendere

Oggi sulla sua “Amaca” Michele Serra svolge un ragionamento stimolante. In sostanza, dice, i cosiddetti populismi, che giustamente secondo lui andrebbero studiati nelle loro specificità e originalità, sarebbe meglio rubricarli più precisamente come “reazionari”. Nel senso di una reazione ai cambiamenti “troppo repentini e troppo destabilizzanti”. Il termine, ricorda il nostro Michele, “odora di dopoguerra, di propaganda comunista, di Peppone che litiga con Don Camillo”  ma si adatta meglio a capire quel che sta accadendo in diversi paesi europei e anche in America. Serra porta come esempi storici di reazionarismo la Vandea antigiacobina, il nostro sanfedismo meridionale contro il progresso borghese, il sud negriero contro il nord antisegregazionista negli Stati Uniti, e poi, per venire ai giorni nostri, il Brexit di Farage, i partiti e partitelli antieuropei nostalgici dei “bei tempi andati” e delle frontiere.

Michele SerraEppure questo ragionamento, lineare lo è solo in parte. Non coglie, infatti, o trascura l’originalità della situazione e le sue contraddizioni più di fondo. La rivolta nazionalista, certamente antistorica, che miete consensi negli strati più disagiati e sfruttati dei cittadini europei, che si rivolgono ai vari Farage, Johnson, Salvini e compagnia, è stata innescata da una rivoluzione neoliberista che ha dato, almeno in Occidente, un segno di revanche sociale conservatrice e, nel suo genere, reazionario. In campo perciò ci sono due reazionarismi che si alimentano a vicenda, quello finanziario-capitalistico cosmopolita che ha spostato marcatamente a suo favore la ricchezza e il potere e quello nazionalistico xenofobo, a scapito del progressismo internazionalistico, in questo momento per la verità assai sgarrupato, che dovrebbe convergere nel cambiare di segno alla globalizzazione neoliberista in Europa e nel mondo.

L’interpretazione di quel che sta accadendo non è semplice. Mi ha fatto venire in mente quello che ho saputo qualche anno fa frequentando i paesi abruzzesi della valle dell’Aterno in Provincia dell’Aquila. In quelle zone nel 1860 avvennero dei moti popolari – con manifestazioni di brigantaggio – rubricati nelle cronache dell’epoca come “moti reazionari”. Che cosa era successo? Era successo che da quelle parti, come nel resto del Meridione, i contadini, sfruttati come bestie dai latifondisti, volevano giustizia. La giustizia per loro era la terra. Con la spedizione di Garibaldi che aveva abbattuto il regno borbonico, questi contadini videro i loro signori da un giorno all’altro diventare “rivoluzionari” antiborbonici e pro unità d’Italia; indossare la coccarda tricolore, costituire la guardia civica e inneggiare alla libertà. I contadini capirono che col “novo signore” piemontese rimaneva “l’antico” e, inalberata la bandiera rossa, sì proprio quella rossa, si dettero a qualche piccola jacquerie inneggiando al vecchio regime borbonico che almeno non gli peggiorava la vita col servizio militare obbligatorio e le nuove tasse. Ben presto furono repressi nel sangue dal nuovo stato unitario e borghese. Certo, quei contadini rispetto all’unità d’Italia erano antistorici e reazionari, ma non lo erano rispetto alla giustizia sociale che avrebbe dovuto sostanziare lo Stato unitario che, infatti, senza il loro apporto nacque democraticamente debole e rachitico.

Per tornare al nostro Michele, egli alla fine rileva: “esiste anche una sinistra reazionaria, che invoca le sue vecchie categorie culturali quasi come un Don Ferrante. Lo so perché per diversi aspetti ne faccio parte anche io”. Quali siano queste categorie alle quali Michele s’immola, non è dato sapere. Si sospetta, però, che siano quelle dell’analisi, per così dire, di classe dei fenomeni storici, economico-sociali.

Morale: il reazionarismo si definisce sempre rispetto alla giustizia e al progresso sociale. Quando il reazionarismo riesce a ingarbugliare le cose e a utilizzare il disagio sociale e perfino l’aspirazione alla giustizia per i suoi fini antiumani, cosa per niente nuova, già conosciuta, saputa e risaputa, significa che i progressisti stanno messi male. Più che immolarsi è meglio che scendano dalle amache.


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