Il liceo Benedetto da Norcia piange la scomparsa del professor Giorgio Meiorin

Il 28 settembre 2017, è morto nella sua nativa Pordenone, sconfitto da un male incurabile, il professor Giorgio Meiorin, docente di latino e greco nel liceo via Saracinesco, 18  nel V municipio di Roma dal 1978 al 2001.
Abbiamo appreso la notizia con inconsapevole ma colpevole ritardo, e di questo sono io il primo a rammaricarmene, avendo avuto la possibilità, questa estate (10 giorni trascorsi in Friuli), di andare a fargli visita. Ma, pur sapendo della sue non buone condizioni, mai avrei creduto che fosse così
imminente la fine delle sue sofferenze. Eppure, per tristi esperienze familiari, avrei dovuto nutrire, al riguardo, almeno un esile sospetto.
Nel momento in cui scrivo, ho sotto gli occhi una vecchia foto di classe risalente all’anno scolastico 1991/92: si vede Giorgio a sinistra della foto e io all’estremo opposto; al centro un gruppo di ragazzi, non molti in verità (quel giorno, forse, si era verificata un’assenza strategica di gruppo), insieme a tre altri colleghi, la professoressa Cristina Palmieri, la professoressa Livia Castelli, il professor Claudio Luti.
Giorgio appare sorridente e felice per la prossima fine dell’anno scolastico; io, al contrario, pallido, magro e lievemente sofferente, forse ancora alle prese con i valori non proprio normali dell’emoglobina, conseguenza della crisi da favismo che mi aveva colpito nel maggio del ’90.

Giorgio Meiorin è stato un professore a tutto tondo, uno per il quale il lavoro del docente non era un lavoro come tanti altri, bensì una missione e ancora di più una vocazione, ciò che i tedeschi chiamano Beruf (letteralmente: chiamata). Giorgio assolveva ai suoi doveri quotidiani con pignoleria e maniacale puntualità, avendo come obiettivo quello di trasmettere agli alunni l’attualità, la ricchezza e le enormi opportunità costituite dall’immenso patrimonio della cultura classica, fondamento della nostra civiltà e dei valori che sono alla base della civile convivenza.
Giorgio, citando Tucidide, era convinto che la classicità fosse educazione alla libertà e amore per la bellezza, perché solo nella libertà è possibile produrre la bellezza (che vuol dire ordine, forma, armonia, proporzione, misura) e fruirne, e allo stesso tempo produrre bellezza significa accrescere la libertà. Era perciò molto esigente con i suoi alunni, voleva da loro la massima attenzione e un costante e approfondito impegno, ma era anche paziente e disponibile nei confronti di coloro che incontravano difficoltà. Me lo ricordo nelle riunioni dei Consigli di classe, quelle aventi all’ordine del giorno gli scrutini di fine anno, quando si presentava con voti che, per alcuni alunni, erano decisamente disastrosi; voti che, però, dopo aver considerato una molteplicità di aspetti, di tratti caratteriali, di potenzialità, di sforzi personali, di contesti ecc., finivano per trasformarsi in sufficienze. Era consapevole, Giorgio, di essere un docente esigente e severo, e a volte se ne doleva, poiché non era sua intenzione appesantire i problemi a studenti che, probabilmente, già ne avevano a iosa, e non sempre di natura scolastica. Credo che, a definirne l’animo, bastino le parole che, circa un anno fa, Giorgio stesso disse per telefono ad una nostra ex allieva (attualmente docente di latino e greco nella stessa scuola nella quale si diplomò nel 1990), la collega Maria Grazia Frabotta: “Se incontri i tuoi ex compagni di classe – le disse Giorgio – chiedi scusa a nome mio per essere stato così rigido e severo”.

Giorgio Meiorin era una persona coltissima, non soltanto nelle sue discipline, ma anche in molti altri rami del sapere e delle arti; conosceva molte lingue (sia moderne che antiche, come l’ebraico e altre lingue orientali), e non smetteva mai di aggiornarsi, di studiare e di viaggiare. Dopo il pensionamento si era iscritto alla Società Geografica Italiana, scrivendo, sulla rivista edita dalla Società, relazioni sui viaggi che la stessa organizzava in Paesi lontani e ai quali egli partecipava con entusiasmo. Continuava inoltre a mantenere viva la sua passione per la grande musica, passione da me condivisa: ci incontravamo spesso, infatti – fin da quando ci eravamo conosciuti dopo il mio arrivo al Benedetto da Norcia nel 1989 – ai concerti di Santa Cecilia, nel vecchio Auditorium di via della Conciliazione. Anche i gusti musicali ci accomunavano: Brahms e Mahler i nostri autori
preferiti, la Terza Sinfonia del primo e la Quinta del secondo (soprattutto l’Adagietto) le opere predilette; tra i direttori le nostre simpatie andavano a Sawallisch e Sinopoli e, infine, si cercava di non perdere in nessun modo le esecuzioni di celebri violinisti quali Nathan Milstein e Uto Ughi, così come di grandissimi pianisti come Maurizio Pollini ed Emil Gilels. Ricordo i nostri incontri successivi al trasferimento di Santa Cecilia nel nuovo Auditoriun di Renzo Piano al Flaminio, e la delusione da lui provata nel constatare come un’opera architettonicamente valida, come l’insieme dei tre “scarabei” del nuovo Auditorium, fosse stata inserita in un contesto così squallido, umido, triste e marginale (“triste, solitario y final” diceva, citando Osvaldo Soriano), una sorta di terra di nessuno posta tra la solitudine dei Parioli e le degradate e pericolanti palazzine del Villaggio Olimpico del 1960.
Un altro comune terreno d’incontro era costituito dall’amore per la lingua e la letteratura tedesche: autori come Mann, Musil, Kafka, Brecht erano per noi oggetto di discussione e di confronto continui; non sempre le nostre opinioni collimavano, era tuttavia un grandissimo piacere impegnarmi, tanto per fare un esempio, in interminabili diatribe sui significati simbolici di personaggi della “Montagna Incantata” di Thomas Mann. Erano frequenti gli incontri, spesso casuali, nell’Aula Magna del Goethe Institut in via Savoia n. 14, in occasione di rappresentazioni teatrali, presentazioni di libri, conferenze sull’Idealismo e sul Romanticismo. Amava la Germania e l’Austria, mete di molte sue escursioni estive, con partenza dal Friuli; sebbene non fosse disponibile ad accompagnare classi nei viaggi d’istruzione, tuttavia accoglieva con molto favore le mie proposte e i miei anticipatori “viaggi della memoria”, con destinazione Monaco di Baviera (con escursione a Dachau) oppure Vienna e Salisburgo (con escursione a Mauthausen).

Giorgio è stato un professore esemplare, un esempio tanto per i colleghi (credo che le sue assenze per malattia si possano contare sulle dita di una sola mano, sui tanti anni, ben 12, in cui abbiamo condiviso il triennio della sezione B del nostro liceo), quanto per gli studenti; tra questi ultimi mi sovvengono i nomi di ex bravissimi nostri alunni (i cosiddetti primi della classe) per i quali Giorgio Meiorin è stato ed è tuttora un autentico mito: la già citata Maria Grazia Frabotta, Barbara Proietti, Filippo Palombi, Massimo Gargiulo, Marco Cerasoli, Violetta Rossi, per i quali certamente la notizia della morte di Giorgio avrà provocato un dolore profondo. Oltre a questi voglio ricordare l’indimenticabile e compianta Francesca Sortino, scomparsa tragicamente, a soli 21 anni, nell’aprile del 1992: ho ancora negli occhi le lacrime di Giorgio versate davanti alla sala rianimazione dell’ospedale Gemelli, quando la povera Francesca lottava tra la vita e la morte, così come la tristezza e l’estrema sua sofferenza il giorno dei funerali e nei giorni e mesi successivi.
Mi piace immaginare che, nei giorni di inestinguibile dolore che hanno preceduto la sua scomparsa, a Giorgio, cultore e studioso non solo delle lettere ma anche del pensiero degli antichi, siano tornate in mente queste parole di Epicuro: “Abituati a pensare che nulla è per noi la morte: in quanto ogni bene e male è nel senso, laddove la morte è privazione del senso. Perciò che la retta conoscenza che la morte è nulla per noi, rende gioibile la mortalità della vita: non che vi aggiunga interminato tempo, ma sgombra l’immediato rimpianto dell’immortalità” (Lettera a Meneceo). Ma forse mi sbaglio, fuorviato dalla mia mancanza di fede e dalla mia simpatia per il materialista Epicuro; è molto più probabile che Giorgio, credente e buon cattolico, abbia ripensato alle varie dimostrazioni dell’immortalità dell’anima esposte da Socrate nel Fedone platonico,
nonché alla sua serena fine.
Caro Giorgio, il liceo Benedetto da Norcia, i tuoi colleghi, i tuoi studenti, moltissimo hanno ricevuto dalla tua presenza e dal tuo insegnamento; anche se non arriveremo mai ai tuoi livelli di cultura e di umanità, ci sforzeremo di seguire le tue orme, pur negli angusti limiti del nostro possibile. Sarai comunque sempre nei nostri cuori e nella nostra mente.

Francesco Sirleto

9 commenti su “Il liceo Benedetto da Norcia piange la scomparsa del professor Giorgio Meiorin

  1. Ho letto con le lacrime agli occhi la triste notizia della scomparsa del prof.re Meiorin, un nomo e un insegnante che mi ha donato l’amore per lo studio e per la civiltà antica. Conservo come preziosi doni i ricordi delle sue lezioni e ancora oggi posso dire grazie a lui, e agli altri professori che ho incontrato negli anni del liceo se sono riuscita a superare brillantemente gli anni universitari con il massimo dei voti.
    Il giorno della mia laurea, appena tornata a casa telefonai a tutti i miei professori, ricordo la gioia nella voce del professore Meiorin nel sapere che una su allieva si era laureata con il massimo dei voti e lode in archeologia.
    Lo incontrai in facoltà durante il mio dottorato di ricerca e mi ricordo che la lezione di quel giorno fu per me particolarmente impegnativa, avevo la possibilità di rendere onore ed omaggio ad un uomo di altissima cultura che aveva dedicata la vita nel donare ai ragazzi il suo sapere.
    Arrivederci professore, Le auguro che il suo ultimo viaggio La conduca verso nuovi inesplorati lidi. Grazie per tutto. Una sua allieva. Di Cagno, III B

  2. Sicuramente una persona degna, meritevole di stima sopra ogni altro, pur non conoscendolo nel privato posso affermare che la sua etica e il suo entusiasmo per l’insegnamento anche per alunni meno dotati o meno motivati fossero solo i principali motivi per i quali merita il mio rispetto anche ora, in fondo posso dire che il suo ricordo mi accompagnerà ancora per molto tempo dato che a volte lo rivedo mentre enuncia alcune delle sue frasi e più volte questi ricordi affiorano quando quella frase è più indicata e più utile.
    “Tieni il discorso le parole seguiranno”
    Strano che solo questa ora mi torni alla mente, ma in fondo una cosa anche se non userò sue parole mi ricordo che era solito ripetere: segui la giustizia sopra ogni cosa e metti tutto l’impegno di cui sei capace in ciò che fai.

  3. Addio Professore, porti via con te una parte della mia vita fondamentale per il cammino che ancora sto percorrendo. La tua sensibilità e la tua capacità di infondere il sapere con la profondità che solo un uomo del tuo spessore poteva esprimere mi accompagnerà per sempre.
    Grazie per avermi migliorato, nonostante la marginalità della mia presenza al tuo cospetto.

    Andrea Luciani

  4. Ho avuto la fortuna di essere un suo allievo proprio al Liceo Benedetto da Norcia. Ho saputo da poco la notizia della morte del professor Meiorin e ne sono profondamente costernato. Ammetto di non essere sempre stato consapevole della grazia di averlo avuto come insegnante ma negli anni ho imparato a riconoscere di avere avuto un grande privilegio ad avere incontrato un uomo così profondamente innamorato della sua professione e, cosa più importante, con una passione così forte nel trasmettere il suo sapere a noi studenti. Mi rammarico anzi di non aver saputo sfruttare di più questa occasione che la vita mi ha dato.

  5. È stato un dolore apprendere della scomparsa del Prof. Meiorin, proprio nel momento in cui stavo cercando di ritrovarlo! Sono grata alla vita che ha fatto sì che la mia strada incontrasse la sua. Ho un unico rimpianto: non aver avuto modo di rivederlo, ancora una volta, per manifestargli la mia stima e ringraziarlo per tutti gli insegnamenti che mi ha trasmesso. Uno su tutti, l’importanza di sviluppare idee proprie senza farsi manipolare: una lezione di libertà per la quale non lo ringrazierò mai abbastanza!
    Il suo ricordo sarà sempre vivo in me, come in tutti questi anni. Con affetto e stima.

    1. Brava Alessandra Capaldo per aver espresso la stima e il ringraziamento ad un suo professore di un tempo, Giorgio Meiorin. E’ bello leggere ricordi e sensi di gratitudine di ex allievi per un vecchio insegnante. Giovanni Presutti

  6. Non ho avuto, come dice giustamente Alfio, la grazia di avere Meiorin come insegnante perché ho cambiato scuola, ma mi aveva già “adottato” quando ero al ginnasio. Siccome in latino e greco andavo piuttosto bene, si divertiva a farmi delle domande (mia sorella era sua allieva). Una persona disinteressata, schiva, ma da cui traspariva una devozione assoluta alla materia e alla motivazione, tanto importante allora e ancora oggi, di insegnarla in periferia. Per un adolescente un faro. Oggi come insegnante di italiano e latino mi chiedo quanto sia ancora possibile fare come lui, e quanto poco io sia riuscito a trasmettere la stessa passione.

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