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Malasanità. L’odissea di un giovane immigrato

La gente in fila al Policlinico con le provette di sangue in mano. Il farmaco contro la sifilide sparito dalle farmacie italiane lo si trova a caro prezzo solo in quella del Vaticano. Alla ricerca di chi può fare un’iniezione

Alberto, lo chiamerò così, è un ragazzo gay brasiliano di 24 anni, ma per la sua costituzione gracile ne dimostra anche di meno. Il suo ragazzo è italiano. Sua madre si è sposata cinque anni fa con un italiano, con il quale era convissuta prima per tre anni; per cui secondo le nostre norme Alberto ha diritto al permesso di soggiorno in Italia. Tuttavia, pur essendo in Italia da circa quattro anni, non è riuscito ad ottenere il permesso di soggiorno. Gli manca il certificato di nascita legalizzato e da San Paolo non c’è nessuno che sia stato disposto a spedirglielo. Alberto ha infatti tagliato ogni legame con la sua terra di origine. Ha qui a Roma la madre, anche se da qualche tempo non vive con lei, mentre non parla più con suo padre da quando aveva sedici anni.

Alberto è mio amico, si fida di me e qualche giorno fa decide di mostrarmi delle ulcerazioni che gli sono spuntate sulla pelle. Mi insospettisco e lo convinco a fare subito i test sull’HIV e quello sulla sifilide. Decidiamo di andare al Policlinico Umberto I della Sapienza e qui inizia il nostro calvario. Il medico che si occupa di malattie infettive sessualmente trasmissibili prescrive i prelievi per i due test. Ci dice anche di chiedere all’infermiera di fare entrambi i prelievi, ma quando ci presentiamo all’infermiera indicata, questa si rifiuta e procede al solo prelievo per l’HIV, dicendo che l’altro prelievo non era di sua competenza e rimanendo su tale posizione anche dopo l’intervento del medico da me informato del suo rifiuto. Fatto il primo prelievo, veniamo indirizzati verso un’altra stanza. Lungo il corridoio noto alcune persone con delle provette piene di sangue in mano in fila. Una di esse, una signora italiana, si lamenta, chiedendosi come sia possibile che le sia stato imposto di portare la provetta del suo sangue da una stanza all’altra. Arrivati davanti alla porta della stanza indicataci apprendiamo che per accedervi bisogna dotarsi di un numero per la fila, ma veniamo anche a sapere da un’infermiera, messa a guardia della porta, che i numeri erano stati tolti da dieci minuti e che quindi dovevamo tornare un’altra volta. A nulla sono valse le mie osservazioni sul fatto che eravamo stati mandati lì dall’infermiera dell’altra stanza, che aveva perso tempo nel rifiutarsi di fare il prelievo.

Andiamo via e torniamo il giorno dopo. Viene fatto il prelievo e quando Alberto mostra le sue ulcerazioni, gli viene detto di farsi prescrivere la visita dermatologica dallo sportello stranieri. Riesco ad ottenere intanto per Alberto il tesserino sanitario per gli stranieri disagiati e senza permesso di soggiorno, che gli dovrebbe consentire di avere gratuitamente assistenza e cure sanitarie. Dopo alcuni giorni ritiriamo i risultati del test HIV. Fortunatamente è negativo. Non sarà così per il test sulla sifilide. Alla visita dermatologica portiamo i risultati del test sulla sifilide e il professore, dopo aver visitato Alberto, prescrive una cura. Veniamo però a sapere che le medicine per la cura della sifilide devono essere acquistate nella farmacia del Vaticano. Chiedo se in Italia esistano tali medicine e se sono mutuabili, vista l’esenzione di cui dovrebbe godere il mio amico e considerato anche il tipo di malattia, altamente infettiva. Mi viene risposto che lo Stato italiano ha ritirato da tempo la penicillina per la cura della sifilide e che dunque nelle farmacie italiane non è possibile trovare quel tipo di farmaco o qualcosa di simile.

In Vaticano, dove non c’è alcuna esenzione, Alberto compra solo una parte delle fiale che servono per la sua cura, perché il costo è alto per lui (180 euro in tutto). Dopo ciò, si presenta il problema di chi debba fargli le punture. In una farmacia gli viene detto di trovare un infermiere professionale. Questo però significa un’ulteriore spesa che lui non può permettersi.

Nel pomeriggio del giorno dopo Alberto mi chiama e mi dice che non sa come farsi le punture e che gli è aumentato un fastidioso prurito. Decido allora di portarlo a un pronto soccorso. Terminate le mie lezioni alle 22,50 (insegno al serale di in un Istituto superiore di Roma), vado a prenderlo a casa e lo porto al pronto soccorso dell’ospedale San Giovanni di Roma. All’ingresso trovo il portiere e due infermieri e rappresento loro l’urgenza di far cominciare ad Alberto la cura. Mi rispondono che non era quello il posto per le punture, che bisognava andare alla Croce Rossa presso piazzale della Radio. Ci rechiamo, allora, presso la Croce Rossa e bussiamo al cancello. Al portiere dico che il ragazzo con me doveva fare una puntura urgentemente. Lui mi risponde che lì non c’era più l’ambulatorio e aggiunge: «Non vedi? Questo è solo un deposito. Qui non si fa più nulla». Gli chiedo allora se fosse a conoscenza dell’ubicazione della guardia medica. Mi risponde di no e rientra.

Disperando di trovare qualcuno disposto a fare la puntura, provo a farlgliela io, dopo averlo portato a casa, ma non ci riesco. Non mi arrendo e decido di andare in una farmacia notturna a chiedere a un farmacista. Il farmacista mi risponde che bisognava trovare un infermiere privato. Mi dà comunque su mia richiesta il numero della guardia medica. Chiamo e domando a chi mi risponde dove si trovasse la guardia medica più vicina a San Giovanni, perché io abito da quelle parti. Il medico non me lo dice, ma mi chiede per quale motivo volessi andare alla guardia medica. Gli spiego il tutto. La risposta è un po’ seccata ed è per me ormai nota: «Qui non facciamo queste cose, cerchi un infermiere privato!».

Alberto è in lacrime. Sono passate le due di notte. Cerco di consolarlo: «Non ti preoccupare! – gli dico – Domani andremo al Policlinico e vedrai se non riuscirò a farti fare la puntura». Al Policlinico abbiamo trovato un’infermiera simpaticissima, laureata in psicologia, disponibile gratuitamente a fare al mio giovane e sfortunato amico tutto il ciclo di punture per la cura. Poi ho anche telefonato al gay help line e ho scoperto che a Tor Vergata c’è uno sportello di medicina sociale che, forse, sarebbe pronto a dare gratuitamente anche le medicine per la cura di Alberto.

Mi sono chiesto come faranno gli stranieri nelle sue stesse condizioni, senza nessuno che li informi delle possibilità per curarsi o che li aiuti in qualche modo.

Alberto adesso sorride. «Proprio simpatica quell’infermiera – mi dice –, la prossima volta la inviterò a bere una birra a un pub una sera».

Su questa triste vicenda è stata fatta il 19 aprile scorso un’interrogazione parlamentare al Ministro della salute promossa dai deputati radicali del PD Rita Bernardini, Beltrandi, Farina Coscioni, Mecacci, Turco Maurizio, Zamparuti. 


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