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Ivo Carezzano: il giornalismo di ieri e di oggi

L'esordio da corrispondente a Sampierdarena. - “Il Messaggero è il giornale della Capitale – Il giornalista è stato ucciso, ma per ricrearsi – le notizie sono la carne e il sangue del giornalismo”

Nelle giornate limpide, dalla sua villa a Lanuvio, guardando verso il mare si vede l’Arcipelago Pontino e, più giù, ma solo raramente, l’isola di Ischia. Deve essere un panorama molto bello se un giramondo come Ivo Carezzano, giornalista da sempre, da poco giovane pensionato, ha scelto di vivere nella cittadina dei Castelli Romani.   “La mia famiglia non era ricca – racconta Carezzano – Ho cominciato a lavorare a quindici anni, facendo il barista nel mio quartiere di Genova, Sampierdarena. Vicino al bar c’erano il commissariato, il comando dei carabinieri e l’Azienda Ospedaliera Villa Scassi. Una vera fortuna, perché, grazie alle mie conoscenze, mi arrivavano sempre notizie fresche su fatti di cronaca nera e incidenti sul lavoro, comprese le morti bianche nei cantieri dell’Ansaldo e dell’Italsider. Iniziai così a fare il corrispondente locale, scrivendo storie per il Secolo XIX. Dopo un paio d’anni mi capitò uno strano delitto: moglie e marito uccisi nella loro casa, sotto gli occhi dei loro bambini. Sembrava un duplice omicidio. In realtà i due si uccisero l’un l’altro, sparandosi. Grazie a questo intrigante caso, fui notato dal giornale e l’estate successiva mi chiamarono per dare il cambio a quelli che andavano in ferie. Durante questo periodo scovai una vicenda singolare: un pitone fuggito dal circo si aggirava in un parco pubblico genovese. All’inizio la gente era spaventata, ma poi si affezionò al rettile, soprattutto i bambini. Alla fine però, il pitone venne ucciso e io scrissi un articolo nel quale sottolineai il fatto che proprio i più piccoli si erano abituati e appassionati all’insolita presenza dell’enorme serpente”.   I tre mesi estivi vanno via veloci e Carezzano, con in mano la lettera di licenziamento firmata dal Direttore amministrativo, si presenta all’allora Direttore responsabile del Secolo XIX, Piero Ottone: “La vengo a salutare – gli fa Carezzano – ho finito i miei tre mesi”. Senza scomporsi, Ottone prende la lettera e la butta nel cestino dicendo: “Nei giornali assume e licenzia solo il Direttore politico. Vai al tuo posto”. Da quel giorno Carezzano fu un cronista di punta del giornale genovese; fino al 1985, quando Vittorio Emiliani de Il Messaggero, lo chiamò a fare il caporedattore nella sede di Milano. Poi Roma, Ravenna e ancora Roma, dove ha chiuso la carriera giornalistica facendo il vicedirettore vicario dal 1996 al 2008. “Decisi di lasciare – confessa Carezzano – dopo quarant’anni vissuti a ritmi forsennati, perché il giornalismo non ammette pause: o sei ‘up to date’ (aggiornato, n.d.r.) o esci dal giro. E poi mi sono sentito obsoleto. Ho capito che c’erano forze nuove all’interno del giornale, più moderne e più preparate di me. Giovani cresciuti a pane ed intenet, che avevano le chiavi delle nuove tecnologie”.   In questa decisione c’è il pudore, l’onestà e l’umiltà di un giornalista come Carezzano che, pur venendo dalla vecchia scuola, è moderno; e poi è molto preparato: si muove tranquillamente su internet e affronta la navigazione sul web, dove si parla prevalentemente inglese; ha una grande passione per tutta la cultura anglosassone e americana (guardava sempre le tv d’oltre oceano); ha studiato molto e continua a studiare ancora oggi (recentemente è stato chiamato all’Università di Bologna per una serie di seminari).   “Ai miei tempi – prosegue – mancavano le notizie. Le notizie sono la carne e il sangue del giornalismo. Per scovarle dovevi essere curioso, tenace e preparato. Oggi le notizie sono infinite. Il giornalista deve essere bravo a selezionarle dando un senso logico e, soprattutto, un senso utile. Non si fa giornalismo solo per informare, ma anche per formare. La responsabilità del giornalista moderno con i propri lettori è maggiore, perché deve avere forti punti di riferimento etici, culturali, politici e storici. Certo, con l’avvento di internet siamo diventati tutti giornalisti. Possiamo mettere in rete filmati, foto e articoli in tempo reale. L’ultima alluvione nella mia Genova ne è una dimostrazione pratica. Ma nel passaggio alla piattaforma digitale non sono stati uccisi i giornali o il giornalismo, ma il giornalista: è stato ucciso per ricrearsi; perché dalle ceneri di un vecchio giornalismo ne nasca uno nuovo”.   Carezzano è ancora innamorato del suo lavoro, del suo giornale e della città eterna. E dell’Italia. “L’Italia è una grande e bella nazione, di gente bella. Leggiamo troppo poco, ma è comprensibile: siamo usciti da situazioni di arretratezza che tuttora viviamo. Con i proprietari dei giornali ho sempre avuto un ottimo rapporto. Soprattutto nel Messaggero con i Ferruzzi, prima, e poi con i Caltagirone. Quest’ultimi hanno riorganizzato molto bene il giornale. E Il Messaggero è il giornale della capitale. Questo lo rende diverso da tutti gli altri; per esempio da Repubblica. Roma e i romani, nel bene e nel male, rappresentano un pezzo d’Italia diverso dal resto del nostro Paese. Roma condensa in sé tante città diverse: è una città storica e culturale, di servizio, di politica e di finanza pubblica. Un po’ come Parigi. Una condizione anomala che non troviamo in altri paesi. In America, per esempio, Washington è la capitale politica; New York il centro commerciale. In più Roma è la città del Papa e la presenza fisica della Città del Vaticano e le tante chiese, hanno un effetto positivo, perché la cultura e il potere del Cattolicesimo è un vantaggio. Ma ha portato a delle disfunzioni, dato che fino al 1871 comandavano i preti; le donne non esistevano. Roma è una città che vive certamente di politica, ma anche di sport, con due squadre straordinarie, ed essere delle Roma o della Lazio significa tante cose, belle e brutte: passione, fede. Per questo i punti forti del Messaggero sono le cronache e quelle sportive in particolare, perché ai lettori interessa la vita della città. Poi per chi cerca un prodotto che da più spazio alla cultura ci sono La Repubblica e il Corriere della Sera. Comunque, noi abbiamo dei signori giornali e giornalisti che, in gran parte, hanno un senso forte della professione e dell’etica. Una cosa, però, dovremmo imparare dalla stampa estera: l’indipendenza dai poteri forti. Il giornalista italiano dovrebbe cercare di essere il più lontano possibile dal potere. Non deve sentirsi parte attiva di questo potere. Un altro problema sono i giornali fotocopia. Per un certo tempo, per coprire il territorio, la tendenza è stata ad essere abbastanza omogenei. Tutto questo è stato scompaginato dai giornali di destra, che hanno svolto una funzione positiva, anche se fino a un certo punto. Hanno rotto equilibri di consociativismo che sono stati egemoni per molto tempo. E la concorrenza degli ultimi anni ha portato a un ulteriore miglioramento della carta stampata, anche se qualcuno ne ha fatto un uso strumentale. Ma fa parte del gioco”.   Carezzano è un autentico ‘self made man’, un uomo che si è fatto da solo. E con le sue forze e il suo talento è riuscito a raggiungere l’eccellenza nel giornalismo. La decisione l’ha presa e difficilmente tornerà indietro. Peccato, la sua penna mancherà a tutti. Il tempo passa, inesorabile. Passa ancor più velocemente quando stiamo in piacevole conversazione. Si è fatto tardi. Guardo verso il mare. Chissà se domattina è una di quelle rare giornate in cui si riesce a vedere Ischia.


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